Affitti brevi: un nuovo ceto sociale, gli Host

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I politici sono spesso accusati di perdere tempo in dispute su questioni di scarsa importanza, e le recenti tensioni nella maggioranza riguardo ai cosiddetti affitti brevi sembrano, a prima vista, rientrare perfettamente in questa categoria. Il motivo del contendere nasce dalla proposta del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di aumentare dal 21% al 26% l’aliquota sui redditi derivanti dalla locazione di appartamenti o stanze, in gran parte gestiti tramite agenzie online (OTA).

La misura, contenuta nella bozza della Legge di Bilancio, riguarderebbe in realtà solo il primo immobile dato in affitto breve: chi possiede da due a quattro appartamenti dovrebbe già essere soggetto all’aliquota del 26%, mentre chi ne detiene più di quattro verrebbe considerato dal fisco come un’impresa a tutti gli effetti. Su questo punto, prevedibilmente, si sono accese accese discussioni tra le forze politiche della maggioranza.

Se si mette per un momento da parte la questione delle aliquote e si osserva il quadro d’insieme, appare evidente che il fenomeno di Airbnb – con il suo straordinario successo, che è prima di tutto un fatto sociale oltre che economico – pone all’Italia e a noi cittadini interrogativi profondi. Ci costringe a riflettere su chi siamo e su che cosa vogliamo diventare in questo secolo segnato da una competizione serrata tra sistemi fondati sulla conoscenza, sulla tecnologia e sul potere. Ci impone, inoltre, di chiederci a spese di chi, all’interno della nostra stessa comunità, intendiamo perseguire questo modello di sviluppo. Vediamo più da vicino.

Crescita del 50% dal 2022

Il Future Urban Legacy Lab del Politecnico di Torino ha pubblicato quest’anno un rapporto intitolato «Chi gestisce davvero il mercato AirBnB?», che analizza in profondità l’evoluzione del fenomeno. Dai dati emerge chiaramente come il numero di unità abitative offerte in affitto breve sia cresciuto in modo vertiginoso: dal 2017, e poi ancora più rapidamente dopo la pandemia, l’offerta è aumentata di oltre il 50%. Mantenendo gli attuali ritmi di espansione, è prevedibile che entro pochi anni si raggiunga la soglia di un milione di alloggi privati disponibili online per il pernottamento in Italia.

La soglia dei 9 miliardi

Il grafico successivo mostra il rovescio della medaglia di questa crescita, sebbene non in modo perfettamente proporzionale. Mentre il numero di appartamenti (o, più raramente, di singole stanze) su Airbnb è aumentato della metà, nello stesso periodo le notti complessive prenotate da turisti e viaggiatori in Italia sono cresciute di una volta e mezza rispetto al 2020, e di poco meno rispetto al 2017. I ricavi totali derivanti dagli affitti brevi sono letteralmente esplosi: da 2,6 miliardi di euro nel 2017 a 8,8 miliardi nel 2023, con ogni probabilità già oltrepassando quest’anno la soglia dei 9 miliardi di euro.

È emerso, in una certa misura, un nuovo ceto sociale – o quantomeno un gruppo accomunato da interessi economici e culturali condivisi. Gli host italiani, ovvero i proprietari che mettono in affitto i propri immobili su Airbnb, sono oggi circa 350 mila, con una media di 2,1 appartamenti ciascuno. Già prima della pandemia, l’offerta di posti letto di questa rete informale aveva superato quella complessiva degli alberghi tradizionali (circa 2,2 milioni), e alla fine dello scorso anno è arrivata a 3,2 milioni di posti disponibili.

L’impatto sulle città italiane è profondo e ambivalente. Da un lato, si riducono gli spazi abitativi e i servizi per i residenti, cresce la congestione urbana, aumentano tempi e costi di spostamento e i prezzi tendono a salire per chi non vive di turismo. Dall’altro, il settore genera nuove opportunità di lavoro, maggiori fatturati e potenzialmente nuovi investimenti per chi invece dal turismo trae reddito, direttamente o indirettamente — anche semplicemente lavorando in un bar o in un ristorante che beneficia dell’aumento dei visitatori.

L’espansione delle piattaforme di ospitalità genera – come accade con ogni nuova tecnologia – vincitori e vinti all’interno dei nostri centri urbani. Una delle spinte principali alla diffusione di Airbnb e simili è il timore diffuso tra i proprietari nei confronti dei contratti di locazione a lungo termine: l’attuale normativa tutela fortemente gli inquilini, al punto che alcuni possono scegliere strategicamente di non pagare il canone, restando comunque nell’immobile per mesi, se non per anni, grazie ai tempi lunghi delle procedure legali.

Tuttavia, anche il boom degli affitti brevi sta producendo un nuovo conflitto distributivo nella società – ancora in gran parte latente, ma destinato a emergere con forza. La mappa qui sotto offre una prima indicazione delle aree dove il fenomeno si concentra maggiormente: Toscana, Roma, Milano, Puglia e molte zone costiere, compresa l’intera area metropolitana di Napoli.

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